Arte e Cultura
Raccolta dell’Abbadia di Fiastra

Raccolta dell’Abbadia di Fiastra

Una piccola ma interessante collezione di materiali archeologici ed epigrafici, già appartenuti alla nobile famiglia Bandini, e poi passati di proprietà alla Fondazione Giustiniani Bandini, trova oggi collocazione nei sotterranei dell’Abbazia di Fiastra, in quella che era una volta la cosiddetta Sala delle Oliere del complesso cistercense.

Pur se si tratta di materiale vario ed eterogeneo, e di cui non si conoscono esattamente le modalità di rinvenimento, esso trova un elemento che lo accomuna nella provenienza, in quanto si tratta di reperti restituiti tutti dal suolo dell’antica Urbs Salvia e dal territorio limitrofo alla città. Difficile risulta ricostruire la storia della collezione, ma la pur limitata documentazione in nostro possesso lascia ritenere che un ruolo fondamentale rivestì, quanto alla sua formazione, il marchese Sigismondo Bandini, figlio di quell’Alessandro Bandini che nel 1773 aveva ottenuto in enfiteusi tutte le proprietà terriere già appartenute all’Abbazia di Fiastra. Il primo nucleo della raccolta lapidaria deve essersi infatti formato sull’ultimo scorcio del ‘700, quando nel clima culturale di gusto antiquario, tipico dell’epoca, fu dato grande impulso a scavi e al recupero di statue e oggetti antichi per l’incremento di collezioni museali, ma anche per la decorazione di residenze e palazzi: e a quel tempo risale infatti la costruzione del sontuoso Palazzo Bandini a ridosso del complesso abbaziale.

D’altra parte si ha notizia che proprio in quegli anni il Papa Pio VI promosse un po’ in tutto lo Stato Pontificio indagini di scavo e nel 1776/77 anche Urbs Salvia, insieme ad altri centri della regione, divenne teatro di fruttuose ricerche di oggetti di antichità, che in gran parte confluirono nel Museo “Pio-Clementino” del Vaticano, mentre altri furono certamente utilizzati per l’arredo decorativo di Palazzo Bandini e del parco circostante oltre che al Castello di Lanciano presso Camerino, di proprietà della stessa famiglia.

Già Theodor Mommsen, nel pubblicare nel 1883 il volume IX del Corpus Inscriptionum Latinarum, dimostra di conoscere questa collezione epigrafica, che oggi ammonta complessivamente ad 11 documenti, tra cui si annoverano tra altari e stele, almeno 6 testi di natura funeraria, alcuni dei quali rivestono particolare interesse, come nel caso della stele che contrassegnava la sepoltura di Publius Petronius Primus (C.I.L. IX ), designato come lusor folliculator, ovvero come giocatore di folliculus, attestazione di un termine del tutto nuovo per la lingua latina, con cui si indica un tipo di palla da gioco, consistente in un involucro di pelle riempito d’aria, con la quale doveva avere conseguito una abilità tale da legittimare il desiderio di conservarne il ricordo anche dopo la morte. Singolare inoltre, ancora nel campo delle funerarie, l’epigrafe mutila di C. Turpidius Severus (C.I.L. IX ), che accoglie al suo interno un breve componimento poetico, con l’andamento metrico dei versi, dai toni scuri e una predominanza del suono cupo della u, a rendere l’atmosfera di mestizia e dolore suscitato da una morte prematura. Di diverso tenore le epigrafi onorarie, tra le quali si segnala una base con donario (fig. 00) dedicato alle divinità tutelari di Urbs Salvia, da parte un procurator Augusti ab Oriente, una iscrizione con dedica all’imperatore Claudio (41-54), destinata ad un monumento pubblico della città, ed infine un piccolo frammento, facente parte verosimilmente di una delle quattro iscrizioni monumentali appartenenti all’anfiteatro, nelle quali vengono elencate tutte le cariche della carriera senatoria (cursus honorum) di Lucio Flavio Silva Nonio Basso. Non meno interessanti i materiali scultorei della raccolta, tra i quali si segnalano due ritratti marmorei appartenenti ad esponenti della famiglia imperiale: un discreto ritratto di Augusto ed un ritratto di Druso maggiore (figg. 00), fratello dell’imperatore Tiberio e padre di Germanico e Claudio, morto prematuramente nel 9 a.C.

In entrambi i casi si tratta di opere postume, con durezze stilistiche di sapore provinciale, da inquadrarsi entro la soglia cronologica della prima metà del I sec. Accanto a resti frammentari di basi di opere statuarie in marmo, si annoverano cornici con rilievi attinenti al repertorio decorativo dell’arte funeraria romana di prima età imperiale, caratterizzati da tralci vegetali e motivi animalistici, oltre ad elementi di decorazione architettonica, tra i quali un buon esemplare di capitello corinzio.

Degni di rilievo ancora due basi frammentarie di colonna, decorate sulle facce svasate da motivi geometrici a rilievo, da assegnarsi al X-XI sec., ed un catino su base ottogonale che fungeva da acquasantiera con motivi animalistici e floreali, proveniente dalla stessa Abbazia, che per ragioni stilistiche e di contenuto trova inquadramento nel XII secolo della nostra era.

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