Storia e Tradizioni
Pillole di dialetto: il Cingolano

Pillole di dialetto: il Cingolano

Il dialetto cingolano appartiene all’area mediana, che si distingue in marchigiano centrale, umbro, laziale e cicolano – reatino – aquilano. Il marchigiano centrale si divide a sua volta in anconetano e maceratese, nel quale ultimo è compreso il cingolano. Il tratto generale dei dialetti mediani è la metafonia (cambiamento di timbro di vocale per assimilazione a distanza) comunemente detta di tipo “ciociaresco”; è inoltre indizio di arcaicità il mantenimento, nel vocalismo finale, della distinzione fra – o e – u del latino (i neutri vengono generalmente assegnati alla terminazione in – o), che si osserva in Umbria, in parte delle Marche e dell’Abruzzo e nel Lazio meridionale. Nel dialetto cingolano dei secoli passati, in minor misura in quello attuale, sono presenti alcuni fenomeni di un certo interesse.
Eccone un elenco:
Nel vocalismo: labilità delle vocali iniziali (insalata > ‘nsalata, accoppare > ‘ccoppà); alternanza di epitesi (aggiunta di uno o più fonemi in fine di parola), la vocale di appoggio più frequente è la -e. ha luogo soprattutto con parole straniere terminanti in consonante (lapis > lapise) e con sigle (Agip > Agippe, Inps > Impese).

Nel consonantismo: alternazione o assimilazione dopo liquide e nasali, per cui da “mb” > “mm” (gamba > gamma, bamboccio > mammoccio); sonorizzazione nei nessi con liquida (passaggio dal suono sordo al corrispondente suono sonoro (dolce >dorge, colpo > corbu): sonorizzazione della consonante che segue la dentale “l” in posizione iniziale intervocalica (caldo > callu); assimilazione della dentale “r” in posizione preconsonantica, in contesti di verbi più particella (parlanti > parlatte).

Nei verbi: troncamento dell’ultima sillaba negli infiniti (mangiare > magnà); geminazione (ripetizione immediata di un suono) di “r” nei futuri (andrà > girrà).

Sia l’articolo maschile, sia quello femminile presentano forme aferetiche: u, a, i, e, benché le forme prevalenti siano “ru”, “ra”, “ri”, “re”. I nomi propri o indicanti parentela non sono preceduti dall’articolo. Riguardo ai pronomi, predominano le forme “issu”, “essa”, “nuà”, “vuà”, “issi”, “esse” e inoltre “me”, “te”, ve”, “je”. In luogo di si, si trova sempre la forma atona “se” (si specchia > se specchia). Si conservano ancora forme quali “fratimu” (mio fratello), “fijema” (mia figlia), “babbitu” (tuo padre), “nonnisu” (suo nonno), “cognatimu” (mio cognato). Non si usa quasi mai la forma “issimo” per il superlativo, si usano altre forme (grandissima > tantu grossa).

Tratto dal testo di Giuseppina Pistelli, in Cingoli natura, storia, arte e costume; Cingoli 1994.

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