Arte e Cultura
L’Apollo di Mogliano

L’Apollo di Mogliano

Sul finire del ‘700, al culmine del fiorire di costruzioni destinate alle attività teatrali in tutta la Regione, gli abitanti di Mogliano possono usufruire solo di una sala del palazzo comunale allora adiacente alla piazza. In seguito la civica Amministrazione prende coscienza della necessità di un vero teatro e si impegna a costruirne uno su disegno del concittadino Giambattista Fabiani (1724-1791). Sopravvengono poi difficoltà di intesa non disgiunte dai rivolgimenti politico-amministrativi in atto e per vedere qualcosa di concreto bisognerà attendere il 1837, quando si costituisce una Società di trenta condomini, alla quale aderisce il Comune con trecento scudi per il corrispettivo di due palchi. Viene approvato il progetto del perito moglianese Francesco Luciani e la prima pietra è posta il 21 aprile 1838 per mano di Luciano, figlio del progettista, con la scritta a “…memoria dei posteri”. Sorge una struttura in legno con pianta a ferro di cavallo e 38 palchi disposti su tre ordini, opera del moglianese Feliciano Seri, padre del più noto scultore Luca. Il sipario, per mano del pittore anconetano Mariano Bonarelli, propone su due piani Ercole che uccide l’idra e il Giardino delle Esperidi; per questo la struttura assume il nome di Teatro delle Esperidi. L’inaugurazione avviene il 26 dicembre 1844 con l’opera Chiara di Rosembergh di Luigi Ricci, data dalla compagnia Bragaglia di Bologna. Per la sopravvenuta demolizione di case prospicienti, il teatro viene ad affacciarsi sulla piazza e necessita quindi di una facciata che, su progetto del concittadino Luciano Luciani, è realizzata nel 1871 dal muratore moglianese Vitaliano Corona. Una data importante è il 17 luglio 1880, quando, in una adunanza, lo scultore Luca Seri, entrato a far parte dei condomini, esprime il desiderio di dotare i quattro pilastri del proscenio di suoi bassorilievi e promette di far dipingere il vòlto dal suo amico Luigi Fontana, affermato pittore.

Già l’anno successivo si possono ammirare realizzate sui pilastri del proscenio le candelabre del concittadino, ancora oggi ricordato per i due splendidi candelabri bronzei ai lati della tomba di Vittorio Emanuele II nel Pantheon, e sul vòlto la scena di Apollo e le Grazie, opera del Fontana, contornata da medaglioni raffiguranti celebri musicisti. Per l’occasione i palchi sono abbelliti con ridò di velluto rosso, un orologio viene posto sopra la porta d’ingresso e le due appliques con specchi, ora scomparse, nel palco centrale del Comune. Anche il nome viene cambiato: non più Teatro delle Esperidi, ma Teatro Apollo. Due medaglioni, opera del concittadino Giambattista Latini, sopra la porta di accesso alla platea, ricordano tuttora gli artisti Luca Seri e Luigi Fontana. Nel 1907, quando cede una capriata, crolla il tetto travolgendo il vòlto. Il teatro chiude per lavori di ristrutturazione che portano, fra l’altro, alla eliminazione dell’arcone di proscenio. Quando, dopo due anni, riapre con la rappresentazione del Don Pasquale di Donizetti, la volta non è stata ridipinta, anche se la Società ne avverte la necessità. Allo scopo, nel 1912, viene indetto un concorso al quale aderiscono numerosi pittori, ma, vuoi per i pareri troppo discordi dei commissari, vuoi per l’alto onere finanziario, l’iniziativa non va a compimento. Uno dei bozzetti presentati, fortunatamente, è stato conservato: è quello del concittadino Milziade Miliozzi, oggi realizzato con tecnica digitale di riproduzione fotografica, splendida decorazione che rappresenta le Muse danzanti in cerchio con Apollo sul carro verso gli spazi dell’Olimpo, in un anello decorativo in cui, entro quattro medaglioni, spiccano effigiati i volti di Rossini, Verdi, Bellini e Donizetti, artisti sommi della produzione musicale italiana. Quanto esposto, rielaborato ed integrato, è tratto da un articolo del prof. Vincenzo Brocco (1940-1991) su “Mogliano 77”, numero unico della “Pro-Mogliano” del 1 gennaio 1977. Il professor Brocco, cultore di storia e tradizioni locali, scrupoloso conservatore e valorizzatore dei beni culturali moglianesi, fu anche una delle poche voci levatesi a condanna dell’uso distorto che si faceva del Teatro Apollo che, da espressione della cultura cittadina, era scaduto a punto di incontro delle attività più disparate. Delle apprezzate filodrammatiche che, come la “Vittorio Alfieri” per la regia dell’ins. Giovanni Lucaroni e poi dell’ins. Duilio Petrelli, avevano esercitato grande richiamo anche dai centri limitrofi con lavori quali “Due dozzine di rose scarlatte”, “La nemica” o “Il cardinale”, nulla era rimasto se non la speranza che in futuro potessero essere ancora proposti lavori di autori allora in voga, quali Dario Niccodemi o Aldo De Benedetti. Neanche le abituali compagnie di professionisti come la Sampieri, la Angelo Bizzarri, nota voce dei microfoni nazionali, o la Beniamino Maggio venivano più chiamate sul palcoscenico dell’Apollo. Operette musicali come “La rosa d’Albania” e “La gondola azzurra”, interpretate da giovani moglianesi, non ebbero seguito: ne fu promotore ed organizzatore Luigi Settembri, che alla musica dedicava tutto il tempo libero.

Fatalmente di mese in mese, di anno in anno sbiadisce l’immagine del teatro centro di aggregazione culturale, ricreativa, associativa, mentre lo stabile, a poco a poco, per le più disparate esigenze, subisce manomissioni e trasformazioni. Il settimo palco del terzo ordine era già stato da tempo trasformato in cabina di proiezione; a rendere più capiente la platea segue il taglio del palcoscenico, mentre i meccanismi scenici vengono distrutti, il sipario arrotolato su se stesso è abbandonato al deterioramento, gli scenari accantonati, l’archivio disperso… I camerini sventrati, con i divisori di legno abbattuti, sono occupati dall’orchestra, posizionata in alto per garantire spazio sul palcoscenico ai vari intrattenitori, alle “miss”, alle “reginette di serata”. Non diverse sono le vicende che riguardano la vita e l’attività della Società Condominiale, proprietaria dell’immobile, sempre più incurante della sorte del teatro; ai condomini fondatori ed ai loro eredi legittimi, quasi tutti scomparsi, sono subentrati nuovi soci per vie diverse, spesso senza passaggi di proprietà, parimenti incuranti della sorte del teatro. Nel 1972 fallisce una trattativa di acquisto da parte del Comune, come analogamente era avvenuto nel 1935. A quanti sollecitano interventi nella consapevolezza che la struttura è a rischio imminente, si accodano solo pochi condomini: non si vuole spendere in un investimento che non ha ritorno; eppure, per accedere a pubblici finanziamenti e contributi è indispensabile che l’immobile sia nella disponibilità dell’Ente locale A seguito del tragico rogo del cinema “Statuto” di Torino vengono emanate rigide norme per l’apertura di locali di pubblico spettacolo. Per il Teatro Apollo, con il tetto che gronda acqua, le corsie pericolosamente traballanti, senza garanzie di stabilità e senza difese contro il pericolo di incendi, è la fine: un provvedimento della Commissione provinciale per i pubblici spettacoli, nel 1983 ne decreta l’inagibilità e la conseguente chiusura. Solo allora l’allarme si diffonde nella cittadinanza, che non vuol perdere un gioiello che rappresenta un patrimonio storico, architettonico, artistico ed affettivo. Molti condomini ora si dichiarano disponibili alla cessione gratuita al Comune, ma l’ostinato rifiuto di pochi paralizza la trattativa. Finalmente, il 17 luglio 1984, con atto notarile rogato dal dott. Omero Mastronardi, la Società Condominiale, conformemente a quanto stabilito nell’ultima assemblea del 30 dicembre 1983, costituisce, a titolo gratuito, a favore del Comune di Mogliano, il diritto di uso perpetuo dell’immobile Teatro Apollo, con l’onere di destinazione d’uso e di manutenzione ordinaria e straordinaria. A questo punto il Comune mette subito in cantiere un organico progetto di recupero, complesso e molto oneroso. Dopo oltre venti anni di chiusura, il risultato oggi è sotto gli occhi di tutti, appaga pienamente quanti si sono impegnati, ripaga di ogni fatica, fa dimenticare le tante, troppe difficoltà.

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