Arte e Cultura
Ville del maceratese

Ville del maceratese

Per i Romani il termine villa era l’equivalente di fattoria, edificio rustico che doveva soddisfare le seguenti esigenze: l’utilitas, la venustas, la voluptas e la delectatio. Nel Medioevo con villa si denominava una località rurale (villaggio) o un borgo non fortificato, come Villa Potenza o Villa Strada. Attualmente è sinonimo di villa signorile, edificio costruito in campagna principalmente per il piacere e lo svago o meglio per il diletto, e le cui origini si possono far risalire ali’ antico castello.

Non c’è dubbio che il Castello della Rancia rappresenti il primo esempio di dimora-fortezza del Maceratese. Un castello da bosco e da riviera, situato nella pianura tra il Chienti e la strada romana, che non manifesta grandi accorgimenti ossidionali e che deve gran parte dell’impianto attuale al 1352 quando Rodolfo II da Varano incaricò Andrea Beltrami, un mastro fornaciaro comacino, di edificargli il Palatium Aranciae. Aranciae e non granciae come da sempre sostenuto. Dimora signorile quindi fondata con riferimento all’arancio, un palazzo inteso come dimora del signore con tanto di giardino degli aranci.

Nel 1464 una volta resi sicuri i confini, Giulio Cesare da Varano, signore di Camerino, trasformò il Castello di Beldiletto in villa, o luogo dell’Amore: fu questo probabilmente il primo cambio di destinazione. Nel 1492 l’esempio fu seguito da Giovanna Malatesta, moglie dello stesso Giulio Cesare da Varano, la quale trasformò in residenza signorile il Castello di Lanciano nelle campagne di Castelraimondo, con la costruzione del cortile e di un salone decorato con i ritratti delle donne illustri del tempo.

Accertato che la villa è figlia del castello, dalla villa-castello si passa, agli inizi del ‘500, a nuove tipologie denominate Casoni e Casini, intese come luoghi per la caccia e per il divertimento (otium), che ancora mantengono inalterati i caratteri tipici dell’architettura fortificata. Nel Maceratese testimoniano la nuova moda il Casone Parisani a Tolentino, il Casone Pellicani a Collevago di Treja e il Casino Bonafede costruito a Monte San Giusto intorno al 1522. Per i due Casoni, per diverse analogie, avanziamo l’ipotesi che venissero entrambi progettati nella prima metà del Cinquecento dall’architetto Antonio da Sangallo il Giovane, attivo in quel periodo, a Loreto e Tolentino. In quell’epoca, nella scelta del sito, era determinante la presenza dell’acqua, indispensabile alla sopravvivenza e fonte di energia per l’alimentazione dei mulini e per i relativi giochi ad essa legati: nascono così le prime peschiere. La peschiera ci riconduce a Lanciano; infatti nell’inventario borgesco del 1502 è così descritto: «un casale con palazzi et peschere et belle abitazioni». Anche per meglio capire l’origine e lo sviluppo del Casone Pellicani sarà bene portarsi alla Peschiera fatta costruire a Macerata, nell’omonima contrada, nel  1602 dal marchese Claudio Ciccolini.

La villa nel Sei-Settecento si chiamava Palazzo, nell’Ottocento Casa di villeggiatura: dimora destinata soprattutto allo svago dei componenti la famiglia del proprietario terriero, che doveva trascorrere in campagna il periodo che andava dalla mietitura alla vendemmia; quindi la villa doveva essere una residenza sicura e confortevole.

I motivi della diffusione delle ville (Casini di cac, eia e Case di villeggiatura), possono essere ricondotti a nuove istanze socio-economiche ottocentesche. Infatti la villa rappresentò una sorta di status symbol a partire dal 1815, allorquando il Gonfaloniere di Treja Luigi Angelini commissionò all’architetto romano Giuseppe Valadier il progetto di La Quiete a S. Savino, primo esempio di insediamento di rappresentanza, produzione, controllo e diletto. L’interesse si manifestò quindi anche attraverso lo sprovincializzarsi della progettazione perché i proprietari ricorsero sempre più spesso agli architetti della scuola romana come il Vici per Villa “Votalarca”, il Poletti per Villa “Valcampana”, l’Aleandri per Villa Lauri, il fiorentino Del Buono per Villa Affede ed infine il Bazzani chiamato nel 1912 da Ludovico Carnevali.

Tratto da “Ville Gentilizie del maceratese” di Gabor Bonifazi.

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